Le donne de El Prado. Quando nel XVI secolo le donne erano professionalmente emancipate, ma non lo sapevamo

di Giulia Mancinelli

Come molti di noi staranno facendo in questi giorni di estrema incertezza, mi concentro su come sfruttare al meglio il tempo a disposizione e faccio di tutto per metterlo a frutto. Anche io ho deciso che questa fase deve essere un’opportunità per una svolta digitale e quindi, oltre ai vari corsi online ai quali mi sono iscritta, indago su come i website dei maggiori musei del mondo si sono adeguati alla loro chiusura fisica. 

Il Museo Nacional del Prado di Madrid tra gli altri, si è sempre distinto per diversi motivi: non tanto per il suo tour virtuale (che non si può neanche definire tale in quanto è solo una serie di foto degli innumerevoli capolavori che custodisce), ma per progetti già sviluppati in passato. Prima che questo virus sconvolgesse le certezze di tutti noi, costringendoci a trovare nuove soluzioni, varie iniziative interessanti per diffondere la cultura. El Prado era già presente con diverse “alternative”, soprattutto in occasione di ricorrenze importanti e anniversari. 

E così, scopro che per El Prado il 2019 è stato l’anno del bicentenario ed ha programmato una fittissima rete di attività inclusive e didattiche. In questi giorni ho deciso di approfondire e ciò che ho scoperto è entusiasmante. Preme rilevare che non ho mai avuto l’onore ed il piacere di visitare El Prado, ma grazie a questa mostra online, svoltasi in tempi non sospetti, ho potuto imparare qualcosa di nuovo. Tra un workshop digitale per adolescenti con l’obiettivo di insegnare a sviluppare un divertentissimo videogame e un programma di arti performative da affiancare alle grandi e prestigiose opere custodite dal museo, El Prado ha organizzato mostre temporanee dedicate a differenti temi legati alla storia di Spagna e dei pittori. 

Una in particolare mi ha colpita più di tutte, ovvero Storia di due pittrici, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, curata da Leticia Ruiz Gomez, direttrice del dipartimento rinascimentale del museo. 

Così, per caso, scopro il grande capitolo della storia delle pittrici rinascimentali, al quale mi ero già interessata dopo la visita alla mostra dedicata ad Artemisia Gentileschi qualche anno fa, a Palazzo Braschi a Roma. E’ necessario guardarsi indietro e studiare il percorso di queste donne, non solo per capire come vissero la loro condizione professionale in tempi nei quali i diritti per la parità di genere non erano minimamente presi in considerazione, ma anche per compararli con quelli attuali. Nello specifico, le due pittrici, protagoniste di questa grande mostra tenutasi tra ottobre 2019 e gennaio 2020, che ha visto il coinvolgimento di oltre sessanta opere provenienti da collezioni sia europee che americane, ebbero carriere brillanti ma alle quali, dopo le loro morti, la storia non conferì la meritata memoria proprio perché donne. Entrambe vissero a cavallo tra il XVI e XVII secolo e non incontrarono troppi ostacoli nel diventare pittrici, grazie alle loro famiglie di origine: Sofinisba proveniva da una famiglia nobile e l’altra era figlia del pittore manierista Prospero Fontana. 

Sofonisba Anguissola, lombarda, visse una vita molto avventurosa, viaggiò molto, si sposò due volte e fu pittrice alla corte di Filippo II di Spagna e per questo ne abbiamo ancora oggi testimonianza al museo de El Prado. Era la più abile nel disegno tra le sue cinque sorelle, tanto che suo padre ne inviò alcuni a Michelangelo, il quale sostenne che la fanciulla aveva talento. Sofonisba inoltre, era un’abile comunicatrice: infatti seppe, grazie alla sua competenza e cultura, mantenere rapporti di cortesia ed epistolari con le corti più importanti d’Italia, e la sua fama crebbe a tal punto che fu citata da Giorgio Vasari nelle Vite (libro che raccoglie tutte le biografie degli artisti eccellenti del tempo, documento che tutt’oggi è preziosissimo per la ricerca di informazioni e aneddoti).

Una volta approdata alla corte di Filippo II di Spagna nel 1559, divenne dama di corte della regina Elisabetta di Valois, e fu la ritrattista ufficiale della famiglia reale fino alla morte di quest’ultima, sua protettrice fino al 1568. Inutile dire che grazie a questo soggiorno acquisì moltissima fama e stima da parte dei committenti e dagli artisti stessi. Tornò dunque in Italia dove, nel 1573, si sposò con un nobile siciliano trasferendosi dunque a Paternò, dove dipinse e lasciò la tela Madonna dell’Itria, che ora si trova nell’atrio della Chiesa del Monastero delle Benedettine, intitolato a Maria Santissima Annunziata. Solo dopo sei anni però rimase vedova e durante un viaggio verso la Liguria,  incontrò a Livorno un nobile genovese che sposò poco dopo a Pisa. Il caso volle che quest’ultimo coltivasse molti interessi a Palermo, dunque Sofonisba tornò in Sicilia dove continuò a dipingere per gli anni successivi. 

Il suo nome ormai era conosciuto in tutta Europa, tanto che il pittore fiammingo Antoon Van Dyck succedutole come ritrattista alla corte spagnola, la volle conoscere ritraendola ormai anziana in due interessantissimi dipinti. 

Dal canto suo, Lavinia Fontana non era nobile, ma portava un cognome già molto noto.  Nacque a Bologna ed ebbe modo di conoscere i fratelli Carracci in giovane età. Accettò di sposarsi con un pittore imolese a venticinque anni (al tempo molto tardi!), con la clausola che suo marito non le proibisse di dipingere. Il coniuge riconobbe il talento al tal punto che rinunciò a lavorare in proprio e divenne suo assistente. Lavinia Fontana fu “fortunata” perché nella migliore delle ipotesi succedeva che i mariti accettassero questi compromessi per prendersi poi i meriti dell’opera delle mogli (mi riferisco alla firma dei quadri!!). Lavinia fu addirittura libera di dipingere sia arte sacra che scene mitologiche, ed era abilissima nella ritrattistica e nella ricchezza dei particolari dei costumi e delle acconciature. Si trasferì a Roma, nel 1603, chiamata dal papa Gregorio XIII dove realizzò moltissime opere e fu nominata “Pontificia Pittrice”. Nonostante la grandissima mole di lavoro che svolse, riuscì ad avere ben undici figli, otto dei quali morirono però prematuramente. Come Sofonisba anche la sua fama era grande ed molte nobildonne romane ambivano un ritratto firmato da lei.

Le due pittrici ebbero grande fama in vita, ma una volta morte l’impronta fortemente maschilista, che ha purtroppo caratterizzato la storia italiana (e non solo!), le ha condannate a una ingiustificata damnatio memoriae cancellandole dalla storia dell’arte per molto tempo e, in tanti casi, celando il nome dalle opere. 

Il lavoro di ricerca svolto nel Museo El Prado ha riportato l’attenzione sulle due pittrici che ebbero una vita più fortunata della ben più nota (ai nostri tempi) Artemisia Gentileschi che, invece, ha suscitato interesse per il suo coraggio e la sua spregiudicatezza. Secoli dopo, questa mostra ha tentato di restituir loro il merito e la fama, ma soprattutto ha permesso al pubblico di godere delle opere di due grandissime artiste a prescindere dal loro genere.

Sono cambiate molte cose da quelle epoche e tutto ciò che noi possiamo fare è non ripetere gli errori fatti in passato riportando sotto i riflettori artisti/e come questi.

Giulia Mancinelli è dottoressa in Storia e Tutela dei Beni Artistici e laureata master in Arts Management presso IED – Istituto Europeo di Design.

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