Questione di prospettiva. Da Cimabue alla ricerca odierna.

di Giulia Mancinelli

Questi giorni di quarantena hanno visto la chiusura al pubblico di tutte le istituzioni tra le quali i musei. L’Italia intera è costretta a ricorrere ai mezzi che la recente rivoluzione tecnologica ci ha messo a disposizione per comunicare, informare -ahimè non sempre nella maniera corretta- e perchè no, intrattenere. Da tempo si parla di digitalizzazione dell’arte, cioè di rendere fruibili online le collezioni e il patrimonio custoditi nei musei e nelle fondazioni. Purtroppo, il nostro Paese non ha mai incentivato sufficientemente questo aspetto molto importante per diffondere la conoscenza dell’arte. Incredibilmente, solo da pochi anni, uno dei più importanti musei del mondo, quale è la Galleria degli Uffizi, ha finalmente progettato il suo logo, il sito web e le pagine social, grazie alla forte campagna di comunicazione voluta dal direttore Eike Schmidt. A causa dell’emergenza virologica in corso (si potrebbe anche tristemente dire “grazie a questa”) tante istituzioni museali, per non perdere l’attenzione del pubblico, hanno trovato diverse soluzioni come quella del tour virtuale. Quello che voglio qui proporre è un piccolo tour-scritto tra alcune opere, con un denominatore comune, presenti agli Uffizi.

Attraversandone le sale non ci si stanca mai di scoprire nuovi percorsi, nuovi emozioni ed ispirazioni, perfino nuove strategie. L’ennesima passeggiata tra le gallerie, ma l’una è sempre diversa dall’altra. Dopo il nuovo allestimento, le prospettive mutano. Il sistema museografico è però sempre lo stesso: il racconto è didattico-cronologico e parte dal ‘300 fino ad arrivare al ‘600. E’ una vera e propria promenade lungo lo studio e la fatica che questi grandi pittori hanno percorso per arrivare alla soluzione di uno dei più grandi enigmi dell’umanità: la prospettiva.

Questa “sfida” ha superato vari passaggi prima di arrivare ad una teorizzazione con Brunelleschi in architettura, Masaccio e Piero della Francesca in pittura e Donatello in scultura. Gli Uffizi offrono la possibilità unica al mondo, dalla quale non può che nascere una riflessione e un’analisi di confronto con la contemporaneità. In Cimabue e Giotto troviamo l’origine di questa ricerca spasmodica, lo sforzo ad immaginare qualcosa che però necessita di regole matematiche per essere correttamente applicato. La loro prospettiva viene poi definita “intuitiva”. La ​Maestà di Santa Trinita​ di Cimabue è un lampante esempio di questo sforzo dell’artista di trovare una composizione armonica per rappresentare la profondità dello spazio occupato dagli angeli che sostengono il trono sul quale siedono la Madonna col Bambino.

Il suo allievo Giotto nella ​Maestà di Ognissanti​ ha già più consapevolezza dello spazio e trova una soluzione più vicina alla realtà sistemando gli angeli anziché uno sopra all’altro, uno sovrapposto all’altro. Non solo, Giotto va oltre costruendo un trono-tabernacolo con uno slancio prospettico ammirevole per il tempo. Quando Giotto dipinge siamo intorno al 1310, molti anni prima della teorizzazione della prospettiva. Nonostante ciò egli trovò il modo attraverso lo stratagemma della cosiddetta “scatola prospettica” di donare comunque alla superficie bidimensionale una dinamicità che inganna l’occhio dello spettatore. Giotto è un artista rivoluzionario, un reale punto di svolta del pensare e dell’esprimersi. E’ riuscito a “pensare al di fuori della scatola” tradotto letteralmente dall’inglese “thinking outside the box”, metafora molto di moda in questi tempi (quasi otto secoli dopo!) che significa pensare a soluzioni alternative, guardando al problema da diverse angolazioni, da diversi punti di vista.

Proseguendo nel percorso, nella sala del Primo Rinascimento, si trova ​La battaglia di San Romano ​di Paolo Uccello, un maniaco della prospettiva, tanto da lanciarsi nella rappresentazione di intricatissime scene che sembrano avere più di un punto di fuga. Infatti, nel frattempo, Brunelleschi aveva teorizzato la “prospettiva lineare unificata” attraverso il metodo delle due tavolette di legno. Paolo Uccello utilizza anche i 3⁄4, virtuosismo che in pochi si possono permettere.

La battaglia di San Romano, Paolo Uccello, 1438

Sono molti gli artisti del Rinascimento che sono attenti alla resa realistica e proporzionata delle immagini, partendo dal disegno per donare la forma adatta a tutte figure della composizione. Con Piero della Francesca, si può parlare di inizio del realismo, intenso come perfetta e precisa rappresentazione della realtà. Le sue pavimentazioni sono famose per chiarezza e purezza. Leonardo da Vinci inventa, invece, la “prospettiva aerea”, che riesce a donare alla superficie della tela una profondità, grazie all’uso del colore, ora più denso, ora più sfumato, per rappresentare l’atmosfera e tutta l’aria che si interpone tra il primo e l’ultimo piano.


Nel secolo successivo, il Cinquecento, arriva la moda dei “tondi” e agli Uffizi è presente uno dei più famosi al mondo (se non il più famoso al mondo!): il Tondo Doni di Michelangelo. Egli fu maestro della cosiddetta prospettiva “di sotto in sù” dipingendo i corpi statuari, seguendo un disegno distorto. Come fece precedentemente Leonardo nell’Adorazione dei Magi (incompiuta e custodita qualche sala più avanti agli Uffizi), Michelangelo usa l’anamorfismo prospettico, allungando o storcendo le naturali misure di arti e volti in modo da renderli armonici, se fruiti appunto dal basso verso l’alto. Lo storico dell’arte Carlo Pedretti spiegando questo esperimento ottico disse che “è l’occhio che corregge, la fotografia non potrebbe farlo”

Insomma, in un solo luogo si possono ripercorrere secoli di ricerca di soluzioni all’enigma prospettico ed è semplicemente entusiasmante!


La parola prospettiva ai nostri giorni ha un’accezione sicuramente più astratta e legata al tema del futuro. Sempre di più oggi giorno, le prospettive sono labili e indefinibili. Lo scenario è analogo a quello di un paesaggio desertico con le dune di sabbia che giorno dopo giorno non sono mai uguali. Il panorama è in continua evoluzione dove non esiste un solo punto di fuga e le soluzioni devono essere molteplici. Ciò che è sicuro è che non si può e non si deve smettere di fare ricerca, ma unire una buona dose di creatività che fecero, propria i grandi maestri della storia dell’arte.


Ora più che mai la ricerca di nuove strategie per adattarsi a situazioni impreviste è obbligatoria e speriamo che sia anche proficua sebbene tutto faccia pensare a risvolti negativi.

Giulia Mancinelli è dottoressa in Storia e Tutela dei Beni Artistici e laureata master in Arts Management presso IED – Istituto Europeo di Design.

Giulia scrive per Co.Lore. Scopri tutti i suoi articoli:

https://www.collettivoloredana.com/co-lore-scrive/art/

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